mercoledì 24 settembre 2014

Bimillenario augusteo

La “squadra”di Augusto.
Una carriera illegale nel mito della Pace


Francobollo per il bimillenario, 2014
77 anni fa, il 23 settembre 1937, il fascismo celebrava il bimillenario della nascita di Augusto dispiegando un imponente programma di manifestazioni, che includeva la «Mostra augustea della romanità» allestita a Roma nel Palazzo delle Esposizioni. Dichiarato era l’intento di affermare l’identità ideale fra due regimi e due capi: due «rivoluzioni», che avevano imposto ordine e pace e rafforzato l’Impero romano nel mondo (il fascismo “imperiale” chiudeva allora vittoriosamente la guerra d’Etiopia).
Del tutto diverso, com’è ovvio, è il senso delle celebrazioni nel bimillenario della morte dell’imperatore, inaugurate il 19 agosto di quest’anno. Oggi il filo conduttore è la valorizzazione per il grande pubblico del lascito veramente cospicuo dell’età augustea in ambito letterario, artistico e architettonico.  Il programma – avviato lo scorso anno con un’importante mostra presso le Scuderie del Quirinale – prevede un itinerario espositivo in rete con altre città del mondo (Keys of Rome) e l’apertura dei luoghi augustei, adeguatamente risistemati: dall’Ara Pacis al Mausoleo di Augusto, alla passeggiata sul Palatino nell’area della domus dell’imperatore e di sua moglie Livia. In alcuni luoghi si tengono letture di poeti d’età augustea anche in lingua originale.  
E tuttavia, la ricorrenza sarà certamente un’occasione per riesaminare il dibattito storico-critico sul personaggio e sull’epoca di cui fu espressione. Ricordando che la nascita di Gaio Ottavio (così si chiamava il futuro principe) era avvenuta il 23 settembre del 63 a.C., l’anno del consolato di Cicerone, il biografo Svetonio  puntualizzava addirittura che in quel  preciso momento il senato stava discutendo sulla congiura di Catilina: come a dire che proprio al culmine drammatico della crisi repubblicana nasceva colui che ne sarebbe stato il risolutore. Quasi negli stessi anni di Svetonio, ma con maggiore penetrazione, Tacito osservava che Augusto aveva avuto la ventura di ricevere un corpo politico-sociale profondamente debilitato dalle guerre civili (cuncta discordiis civilibus fessa), e di aver imposto su di esso il proprio imperio, solo nominalmente in qualità di «primo fra pari» (nomine principis sub imperium accepit); insomma, di essere stato un monarca dietro la finzione repubblicana. In fondo, gli  era capitato di arrivare al momento giusto, quando i tempi erano maturi per una soluzione autocratica, e inoltre di aver potuto fare tesoro, con le debite correzioni, del precedente esperimento dittatoriale tentato da Giulio Cesare ma stroncato dai lealisti repubblicani. Nel frattempo, quasi in extremis, il giovanissimo Ottavio era stato adottato dal dittatore, assumendo il nome di Giulio Cesare Ottaviano (sarà appellato Augustus, «venerando», dopo aver ottenuto il potere supremo). Aveva 19 anni quando le Idi di Marzo del 44 a.C. lo indussero a scendere in un agone politico da cui, ormai, si usciva vincitori o morti. 

Ricostruzione ideale del Foro di Augusto
Che la sua carriera fosse nata nella più palese illegalità era talmente innegabile che egli stesso nella propria autobiografia (le Res gestae Divi Augusti) dovette rivendicare come “costituzionale” il gesto eversivo con cui si presentò al senato: l’arruolamento di bande armate, un vero e proprio esercito privato. Poi venne la «marcia su Roma» delle legioni al suo comando dopo la morte violenta di ambo in consoli, la sua elezione al consolato all’età di 20 anni (secondo tradizione ne occorrevano 42) e via in crescendo. La vittoria finale, la pax Augusta, fu la rappresentazione plastica del nuovo equilibrio raggiunto fra le classi proprietarie dell’Italia e delle province (soprattutto occidentali), con l’inclusione dei soldati, specie dei veterani, e la cooptazione della plebe residente nell’Urbe, addomesticata da un ampio programma di politiche sociali. Chi abitava a Roma poteva ben percepire il «potere delle immagini» (Paul Zanker) aggirandosi nei nuovi spazi pubblici, dal completato Foro Giulio al Foro di Augusto, abbelliti di colonnati, fregi e statue. Poteva vedere l’Urbe  trasformarsi man mano da città di mattoni in città di marmo (di tale metamorfosi Augusto soleva vantarsi, racconta Svetonio).  

Ritratto di Livia Drusilla
Ma questo processo era sostanzialmente corale, frutto della mobilitazioni di quelle parti che uscivano in qualche modo vincenti da cento anni di guerre civili. Qui funzionò la capacità di Augusto di associare progressivamente al suo progetto gruppi, clan, forze intellettuali, e gettare ponti anche verso i circoli di opposizione. In ciò fu coadiuvato da un’ottima «squadra» (come si direbbe oggi) che sopperì alle carenze del leader, privo dei tratti di genialità di un Cesare. Agrippa fu il vero autore dei successi militari di Ottaviano, ma sviluppò anche una propria operosa attività di costruttore, architetto e urbanista, estendendo la rete degli acquedotti e rimodellando l’area del Campo Marzio dove sorse il Pantheon. E in questo periodo un ingegnere statale, Vitruvio, scrive il primo trattato De architectura. Mecenate, ottimo politico-tecnico e amministratore, fu artefice della politica culturale augustea – almeno di una parte di essa – accaparrandosi alcuni fra i più brillanti talenti poetici del momento, Virgilio, Orazio, Properzio. Fiorirono scuole di retorica e d’altri saperi; scuole di giuristi si attrezzarono a dibattere i fondamenti del nuovo diritto imperiale. Anche il teatro nelle suoi diversi generi – specie quelli non letterari – conobbe una notevole fortuna popolare e furono eretti a Roma altri due teatri in pietra oltre a quello di Pompeo che venne restaurato. Opere di pace, pagate al prezzo di una riduzione di libertà. Una tregua accettata dalle parti, che resse finché il principe visse. Intanto ai confini dell’impero i confronti armati continuavano con alterni esiti. Morto Augusto (il 19 agosto del 14 d.C.), tutte le questioni si riaprirono ma le forme dell’agire politico erano ormai mutate irreversibilmente.

Pasquale Martino    
   
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 settembre 2014, con lievi modifiche.