Contro
il nero del Nord.
Il giornalista che scrisse romanzi
Il giornalista che scrisse romanzi
L’autore
dell’acclamata trilogia di Millennium,
pietra miliare del filone scandinavo che ha rinnovato il thriller letterario, non aveva smesso di esercitare il mestiere di giornalista.
Coi suoi romanzi – dei quali non prevedeva lo strepitoso successo – voleva
comunque assicurarsi «la pensione» (sono parole sue). Stieg Larsson non fece in
tempo a diventare ricco grazie ai milioni di copie vendute. Il 9 novembre di
dieci anni fa, a Stoccolma, salì di corsa fino al quinto piano del palazzo
senza ascensore dove aveva sede la rivista per cui lavorava, «Expo», e subito
si accasciò colpito mortalmente da un attacco cardiaco.
Il
giallista cinquantenne aveva appena consegnato all’editore i manoscritti dei suoi
tre romanzi. Inoltre aveva abbozzato un progetto per altri sette volumi di un
ciclo complessivo di dieci, e sviluppato materiali per i volumi quarto e
quinto. Un lascito promettente che, al di là delle controversie di eredità
tuttora in corso, ha consentito all’editore svedese di affidare a un altro
scrittore la stesura di un quarto romanzo, la cui uscita è preannunciata per
l’estate 2015.
Molti
lettori hanno ammirato l’innovativa protagonista delle storie di Larsson, la
detective free lance e disadattata Lisbeth Salander: vittima della brutalità di
un padre psicopatico, trattata dal sistema socio-educativo come un soggetto
psichiatrico a rischio, è cresciuta sola e costretta a inventare le proprie
autodifese quotidiane; spinosa, ribelle, apparentemente incapace di relazione e
ripiegata su se stessa fino a manifestare una sintomatologia autistica, vestita
da punk e tatuata, è in effetti una geniale investigatrice, una hacker provetta
e una vendicatrice delle donne che subiscono violenza sessuale. Il tema è posto
con impressionante vigore nel primo romanzo: Uomini che odiano le donne. Uscito nel 2005, esso è una discesa negli
inferi della schiavitù sessuale, imposta soprattutto alle anonime prostitute
immigrate dall’est, e del femminicidio seriale praticato da maniaci allievi del
nazismo svedese d’anteguerra.
Un
sottosuolo che il seguito della trilogia esplora nelle sue ramificazioni
nascoste, dentro le viscere di una Svezia dall’apparenza ingannevolmente
prospera, in realtà incrinata nelle sue certezze socialdemocratiche dopo
l’oscuro omicidio del premier Olof Palme. Nuove povertà, immigrazione e, per
converso, reati finanziari e corruzione, razzismo e neonazismo, criminalità
diffusa e intrigo politico sono la materia dei romanzi di Larsson; i quali rivendicano
d’altra parte la funzione critica del giornalismo d’inchiesta, delle piccole
riviste indipendenti come «Millennium», che assomiglia moltissimo a «Expo» così
come il giornalista Mikael Blonqvist legato a Lisbeth da una travagliata collaborazione
è in qualche modo un alter ego di Stieg Larsson.
Marxista
eterodosso, critico letterario, appassionato di fiction popolare (dal poliziesco al fumetto, dalla fantascienza a
Pippi Calzelunghe, della quale l’eroina di Millennium
è nelle intenzioni dell’autore una sorta di replica cresciuta e aggiornata),
Larsson è arrivato alla sua grande invenzione romanzesca dopo una ventennale esperienza
di giornalista militante. Le inchieste da lui condotte sui collegamenti
internazionali e sulle implicazioni terroristiche dell’estrema destra
neonazista hanno indotto il ministero della Giustizia svedese ad avvalersi
della sua consulenza. Nel 1995 è stato fra i fondatori di «Expo», trimestrale dichiaratamente impegnato contro il razzismo, la
xenofobia e l’intolleranza. Ha scritto una quantità ingente di articoli e
interventi per denunciare l’omofobia, la violenza sulle donne, il ritorno
dell’antisemitismo, il revisionismo storico, l’insorgere della islamofobia,
analizzando inoltre le proiezioni politiche e istituzionali della nuova destra populista
nel contesto svedese. Piccola parte di questa produzione è accessibile in
Italia grazie al volume La voce e la
furia, pubblicato nel 2012 da Marsilio, l’editore italiano di Larsson. Vi
si legge fra l’altro un passo premonitore del 1999: «Le autorità hanno la
tendenza a liquidare i terroristi di estrema destra come “pazzi solitari”. […]
Sembra esserci una resistenza intrinseca all’idea che i neonazisti parlino sul
serio quando minacciano di distruggere la società democratica. La spiegazione è
semplice: un “pazzo solitario” è meno preoccupante e più facile da spiegare
dell’ipotesi che i neonazisti si dedichino al terrorismo organizzato
internazionale». Anders Breivik, lo stragista di Oslo del 2011, prima di
uccidere 77 persone fra cui 69 giovani del partito laburista, aveva espresso nel
suo sito web opinioni largamente condivise da vari esponenti e gruppi politici
in ogni parte di Europa, inclusa l’Italia. Un personaggio che ha concepito l’eccidio
nell’ombra di un delirio assolutamente reale. Lo stesso indagato da Stieg Larsson.
Pasquale Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 4 novembre 2014
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